Giaceva immobile, avvinto dalle spire dei sogni. Atlantide non era che un ricordo lontano, un'utopia mai realizzata, una mezogna. In quell'istante nulla esisteva...nulla, eccetto lui e il mare. La culla di tutte le sue pene e di tutta la sua forza, il primigenio brodo primordiale, fonte di ogni vita, fra i flutti e i continenti in continuo pellegrinaggio. Il mare era la sua patria, la sua storia, la sua cultura. Il mare era in lui e, abbandonandosi alle onde, scelse di essere parte del mare anch'esso.
Ma allora perché?Si chiese destandosi.
Perché continuava a sentirsi così diviso? Chi o Cosa era realmente? Per quanto desiderasse soltanto dimenticare, lasciarsi alle spalle simili interrogativi, più ardentemente sperava di riuscirsi più questo dilemma lo perseguitava. Che fare dunque se non condurre una vita divisa come diviso era lui, tra il basso e l'alto di questo povero, piccolo mondo?
Per anni aveva ripudiato le sue origini. Per anni aveva respinto la realtà e la sua vera natura.
Rimanendo seduto si spostò in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia e lasciando che i palmi delle sue mani accogliessero un volto pieno di dubbi e frustrazione. Rimase in questa posizione per un minuto che parve eterno, poi, in un guizzo improvviso scattò in piedi e colpì il pavimento con un pugno che spalancò il suolo in un caos perverso di roccia e bolle.
Cani! Se avessi potuto scegliere! Se mai mi fosse stato concesso di avere voce in capitolo mai avrei accettato un'onta simile...che il mondo di superfice sprofondi negli abissi, nessun giovane principe sciocco ed incauto correrà in loro aiuto!Ma quel breve soliloquio non durò a lungo. Il furore si dissolse mentre il monarca alzava il capo all'improvviso, come un cervo che ode i passi felpati di un predatore ed aguzza lo sguardo e l'udito. Un brivido gelido lo attraversò da parte a parte, una lama fredda che insinuò in lui nuove domande e nuovi dubbi.
Nulla che si muovesse nel suo dominio poteva sfuggire al signore di Atlantide. Nulla, tanto meno un essere dotato di un simile potere: l'acqua vibrò e ribollì, come se un forte calore se ne fosse impossessato. Poi più niente.
Chi osa?!Il re si lanciò oltre i pesanti portoni lasciando che la lunga veste verde smeraldo scivolasse via, sfrecciando verso l'esterno. Un manipolo di guardie che si stava godendo una breve licensa non potè fare a meno di osservare la scena.
- Hei, Ashta...che succede? -
- Tritone m'infilzi se ne so niente! - Disse un grasso soldato afferrando una lancia tripunte.
- Baltas, Nenia. Seguitemi. -
Lo sparuto gruppo affiancò rapidamente il re e, come se tutto fosse chiaro come il sole, nessuno disse nulla. Namor continuò semplicemente as avanzare al massimo delle sue possibilità.
Attraversarono i quartieri nobili sino a varcare le soglie della periferia più estrema. Lì, oltre i grandi cancelli di Atlantide, Loki, l'ingannatore, sorrideva con semplicità, osservando il corteo in procinto di raggiungerlo.
Namor non sorrideva affatto e più si avvicinava più quel ghigno lo faceva infuriare. Come poteva proprio Loki presentarsi alle porte del suo regno con tanta baldanza? Quale audacia lo conduceva nella valle dei padri, quali artifici aveva in serbo per la gemma degli oceani?
Namor nuotò sino a lui, poi assunse anch'esso la posizione eretta. Fece un semplice cenno ai soldati i quali, armati di semplici tridenti atlantidei, sembravano non temere affatto il nuovo venuto, per quanto lo conoscessero in tutto il suo insidioso essere.
Parla, asgardiano. E sii rapido, perché se tanta è la pazienza che richiedono i tuoi piani meschini ben poca è quella che io posso offrirti oggi.